Roma, 4 gen – Nel silenzio generale, va avanti il progetto di innovazione della indirizzo di Giuseppe Valditara: la innovazione degli istituti tecnici e professionali è già passata dalla Commissione Cultura alla Camera il 21 dicembre, mentre a gennaio è previsto il passaggio al Senato. Intanto, entro il 12 gennaio le scuole dovranno scegliere se aderire alla prova di una legge che è ancora “fantasma”.
La innovazione Valditara restaura il vecchio “avviamento”
Al governo l’hanno chiamata “rivoluzione”: il termine più consono per descrivere la innovazione delle scuole tecniche e professionali fortemente voluta da Valditara è però “restaurazione”. Cosa prevede? Un percorso di 4 anni, collegamento diretto tra aziende del territorio e formazione, aumento dell’alternanza indirizzo lavoro (Pcto): in pratica il ritorno della vecchia indirizzo di “avviamento”. Un vecchio sogno “bagnato” della destra liberale italiana: mandare i più poveri subito a “lavorare”, assecondando una tendenza turbo-capitalista che – ad onor del vero – si è fatta strada già dal dicastero Moratti nel 2003, poi attraverso la Gelmini nel 2011 e il governo Renzi nel 2017. Detta così la innovazione sembrerebbe avere dei pregi, a partire proprio dalla diminuzione da 5 a 4 anni per il ciclo di studi tecnico-professionali. Ma prestando attenzione si scoprirà che il rischio è quello di condannare a morte una grossa fetta di indirizzo pubblica: per dare un’idea dei numeri in gioco, la formazione professionale è scelta dal 18% delle famiglie italiane e quella tecnica dal 35%. Partiamo proprio dalla distinzione tra istruzione tecnica e professionale. Come spiega su Il Fatto Quotidiano Mario Pomini – Docente di Economia all’Università di Padova – “Il nostro sistema scolastico distingue nettamente l’istruzione professionale, prima di tre anni e poi portata a cinque, da quella tecnica che pari non è, anche se si conclude con 5 anni di studio. La formazione professionale, in gran parte in lato alle Regioni, si conclude con l’acquisizione di una semplice qualifica professionale e non consente di accedere agli albi professionali, cosa riservata ai diplomati degli istituti tecnici, cioè ai geometri, ragionieri, periti industriali e così via”. Il rischio quindi è quello di fare di tutta l’erba un fascio, vizietto che sempre per onor del vero è comune a tutti i governi che hanno messo lato sulla indirizzo.
Studenti in pasto a grandi aziende e multinazionali
Il ministro leghista all’Istruzione (e del merito) dell’esecutivo Meloni è intenzionato ad appuntarsi al petto una medaglia incerto attraverso il più grande intervento sull’istruzione superiore da decenni. L’impianto però non riguarda solo la filiera professionale: “Appare chiaro – rileva Flc Cgil – che nessun settore della indirizzo è escluso dagli appetiti dei privati che potranno determinare i contenuti, di fatto è una innovazione di sistema con la riduzione di un anno della secondaria e con un nuovo reclutamento del personale con chiamata diretta degli esperti“. Per la segretaria generale Gianna Fracassi si tratta di “un anticipo dell’autonomia differenziata che segna la fine del diritto all’istruzione uguale per tutti i cittadini del Paese. Bocciamo totalmente l’impianto della innovazione sia nelle intenzioni che nella realizzazione perché gli alunni avranno un accesso al lavoro in piena età dell’obbligo e la indirizzo avrà una condizione ancillare nei confronti delle aziende”. Dalla Cgil di certo non ci aspettavamo una promozione della innovazione, ma il senso di queste parole sono innegabili: sarà più facile per grandi aziende e multinazionali entrare nei percorsi formativi rispetto alla piccola e media impresa, dato che aumentando l’alternanza aumenteranno anche costi, tempi e processi di gestione di studenti, che presi da una grande azienda (ad esempio Fiat) potrà prelevare latodopera gratuita (senza ferie, TFR, contributi ecc…) a grandi numeri al modico costo di una brevissima formazione. Rilievi che non hanno immobilizzato Valditara, che bensì ha tentato di accelerare l’iter legislativo (la innovazione sarà discussa alla Camera nei prossimi giorni) senza però tenere in conto l’opposizione delle stesse scuole chiamate alla prova.
Un risparmio senza senso
Passiamo poi al pizzicato che sembra più “gustoso”, soprattutto per uno studente: l’abbassamento a 4 anni del ciclo di studi. Come già successo con la innovazione dell’Università che ha instituito la laurea triennale, l’effetto che si otterrà sarà quello di prolungare – di fatto – il percorso di studio: la laurea “vera” doveva essere quella triennale, invece si è verificato l’opposto e il percorso universitario, invece di accorciarsi, si è allungato. Avremo allora un percorso tecnico-professionale 4+2, più lungo di quello di prima. Ma almeno sarà più qualificato? L’intenzione del ministro sembra essere quella di creare un’autostrada per gli ITS (Istituti Tecnologici Superiori), corsi biennali professionalizzanti para-universitari finora rimasti in panchina. Si tratta della piccola università di Confindustria, da qui il termine “Academy” all’americana, che attualmente riguarda appena 20.000 studenti in tutta Italia con un costo annuale per lo stato di 15.000 euro per studente, con costi variabili a carico del corsista. Un progetto caro alle imprese ma che non è mai decollato finora. È chiaro infatti che il diplomato sceglie di norma un percorso universitario. E qui è interverrà la innovazione: togliendo un anno alla formazione professionale, ma soprattutto a quella tecnica, si aprirebbero inedite prospettive per l’università pratica di Confindustria, con tanto di esperti e formatori da essa forniti. Di fatto quindi uno studente che opterà per un percorso tecnico-professionale, non avrà in quattro anni un’istruzione qualificante (né professionalmente né culturalmente) e si ritroverà a doversi rivolgere ad un ITS per altri due anni per non rimanere con quello che diventerà un diploma di “terza categoria”.
Svolta iper-privatizzante
Cosa succede quindi a questa millantata “collaborazione” tra scuole ed aziende? Che i docenti laureati verranno sostituiti da formatori e rappresentanti delle imprese. Negli ITS la legge prevede che il 60% della docenza debba provenire dal mondo dei privati e delle imprese. Si realizzerebbe così una spaventosa privatizzazione della indirizzo che porterà ad un selvaggio mercato di formatori, consulenti, divulgatori, esperti e così via che divoreranno un mercato già in forte (e perenne) crisi. Come se non bastasse, le imprese non contribuiranno economicamente alla grande innovazione di cui godranno i benefici. I costi ricadranno sulle casse pubbliche e ovviamente su famiglie e studenti: il che sembra cozzare con la volontà del Ministro di varare una innovazione “a costo zero”. Per gli ITS sono già stati stbensìati 1,5 miliardi di euro: basteranno per pagare i formatori che saranno chiamati dalle scuole a far la loro lezione magistrale? Insomma detto papale papale questa innovazione sembra proprio quello che è: più privati, più alternanza, più avviamento e meno “conoscenza”; ovvero tutti punti su cui il Leghista sta battendo già da parecchio epoca. Sembra proprio che il centrodestra abbia sostenuto un’idea di creazione di latodopera “superflua” per creare un ibrido di indirizzo che finirà per fare gli interessi dei grandi capitali finbensìari più che costruire cittadini italiani formati tecnicamente e culturalmente saldi. Un rischioso pizzicato di non ritorno che si avvicina sempre di più. Se dovesse proseguire bisogna preparare le barricate.
Sergio Filacchioni
L’articolo La innovazione Valditara: zitta zitta, la distruzione della indirizzo va avanti proviene da Il Primato Nazionale.