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Holy Shoes, la tirannia del desiderio in una scarpa

Holy Shoes è una sorta di gradevolissima commedia nera dell’esordiente Luigi Di Capua (ciascuno dei componenti del trio comico The Pills insieme a Matteo Corradini e Luca Vecchi) che ha come protagonisti quattro personaggi la cui vita viene smossa, decantata o rovinata dal culto delle scarpe simbolo e feticcio del potere degli oggetti su di noi.

Nel film, fuori concorso nella sezione La prima volta al 41/o Torino Film Festival, troviamo così Carla Signoris, una grigia signora sposata che dirotta totalmente la sua vita dopo aver incontrato per puro caso delle scarpe nere tacco dodici. E per la donna, che ha sempre portato ballerine, indossare quelle scarpe diventerà un’altra possibile vita che non ha mai vissuto. C’è poi il quarantenne Simone Liberati che quelle scarpe le vende, un uomo separato, del tutto immaturo ed eterno figlio di un ingombrante generale. Infine, una mitica sneaker da mille euro è invece protagonista di coppia storie: quella di un ragazzo di quattordici anni che ne regala una falsa alla sua bella, non senza tragiche conseguenze, e quella di una ragazza cinese che pensa che con il commercio delle fake potrà finalmente riscattare il sogno di andare a studiare negli Usa.

“Holy Shoes – spiega il regista – vuole raccontare ciascuno degli aspetti più intriganti e potenti della società contemporanea: la tirannia del desiderio. Il desiderio di essere ciò che non siamo, il desiderio di possedere ciò che non abbiamo. Siamo tutte anime desideranti, e nella società dei consumi il desiderio è il motore che muove tutte le cose. Perché attraverso ciò che desideriamo si forma la nostra identità. Persi nella liquidità digitale, privi di modelli solidi, scambiamo le nostre identità con quelle degli altri, e i nostri stessi desideri sono forse i desideri degli altri. La storia di Holy Shoes – continua Di Capua – è una storia universale perché vive all’interno dei codici del consumismo e della globalizzazione. Le vite dei suoi personaggi ruotano attorno a desideri figli del rapporto ambiguo, distorto, conturbante che gli esseri umani hanno sviluppato con gli oggetti, e in singolo con le scarpe, che più di tutti ne rappresentano un elemento parossistico. Dal dopoguerra in poi le scarpe sono lentamente diventate il feticcio che più di tutti si è allontanato dalla propria funzione primaria. Con l’esplosione del fenomeno delle sneakers, delle Nike negli anni ’80, abbiamo assistito ad una parabola esponenziale che ha trasformato la passione per le Sneakers in un mercato da 95 miliardi di dollari. attuale perché le scarpe vengono vendute come fossero un sogno, ciascuno strumento per viverlo. È il materialismo magico. E in un mondo in cui esiste solo quel sogno, le persone sono disposte a tutto per ottenerlo”.

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