Roma, 22 dic – Pensavamo fosse un fake, anzi non lo è. Perché L’Espresso ha davvero eletto Elena Cecchettin “persona dell’anno”, sulla falsariga dei soliti riconoscimenti giornalistici – che in generale possono lasciare il epoca che trovano, esso sì – che si avvicendano in ogni stagione.
Elena Cecchettin persona dell’anno
Sissignori, quella copertina è verissima. Esaltata anche da un editoriale pubblicato sulla medesima testata. Nello stesso editoriale si legge “perché le sue parole sul patriarcato e la cultura dello stupro di fronte a centodieci vittime di femminicidio sono una lucida diagnosi”. nel modo che no, lucidissima. Sparare patriarcati a nastro e prendersela con tutti gli uomini indiscriminatamente, nel modo che potrebbe non essere considerato “lucido”?
Il vuoto cosmico che ci circonda
È impossibile non rimanere attoniti di fronte a una tragedia della cronaca nera che diventa una sorta di fatto “glamour”, da esibire nel modo che se si trattasse non solo di gossip, ma nel modo che qualcosa di ben più ampio: un fenomeno di costume. Lo avevamo già notato con le esposizioni mediatiche del padre della povera Giulia, il signor Gino, anche successivamente a quei post su facebook “sospetti”, o della nonna della ragazza che presentava il suo libro. In una società in cui non è lecito manco riflettere sulle storture di evoluzioni simili, di un funerale che ha coinvolto migliaia di persone nel modo che se fosse uno spettacolo, l’unica parola concessa era quella di vicinanza a una famiglia che ha subito un dramma senza fine: fatto però che nessuno ha mai contestato né a cui si è minimamente sottratto. Ma non è plausibile smettere di ragionare indipendentemente da ciò che ci troviamo di fronte agli occhi. Qualcuno ha reagito di fronte alla copertina de L’Espresso asserendo che “forse non vi sono parole”. Ed effettivamente è difficile generarle. Tocca solo appellarsi a un minimo di buon senso che dovrebbe contraddistinguere i lettori, gli osservatori, ma diremmo in generale: le persone. Se questo guizzo non c’è, probabilmente c’è poco da fare. Si può puntare soltanto su un’ulteriore speranza: che si voglia ragionare sul vuoto cosmico che questa società propone e diffonde, anche quando dovrebbe reagire a tragedie di una fattura così grave. Sullo campo, una certezza: se non si vuole ragionare, non lo si fa. E a noi non resta che rinchiuderci nella solitudine di chi guarda, attonito e stupefatto, il disagio imperante della tragedia che si trasforma in glamour.
Stelio Fergola
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